Al Gore e Bill Clinton all’inizio degli anni novanta proposero con forza un obiettivo: eliminare o ridurre il “divario digitale” e cioè la difficoltà di accesso a Internet in determinate zone degli Stati Uniti. Consapevoli i due che non essere connessi alla rete (o non avere gli strumenti culturali e cognitivi per farlo) significava essere relegati ai margini della società nascente, quella dell’economia della conoscenza. Ma ridurre il Digital Divide divenne rapidamente un obiettivo di tutti i Paesi.
Dal “vecchio” Divario Digitale
In Italia il Divario Digitale nell’ultimo decennio è diminuito, anche se registriamo un ritardo rispetto a omologhi Paesi europei. Diminuito per il diffondersi, sia pure lento e laborioso, della banda larga, la crescita delle nuove generazioni digitali che contaminano anche le generazioni adulte, l’ alfabetizzazione progressiva della popolazione, la disponibilità di tecnologia e servizi digitali a prezzi e tariffe decrescenti. Questo ha provocato un cambiamento nella “dieta mediatica” degli italiani, ossia nella quota parte di tempo quotidiano o settimanale che dedichiamo ai singoli mezzi d’informazione. Le preferenze stanno cambiando a scapito dei mezzi tradizionali, quelli a stampa.
Al “nuovo” Press Divide
Nasce così il fenomeno “Press Divide”: e cioè l’aumento d’italiani che non includono, o non includono più, nella loro dieta mediatica la carta stampata. Non solo – secondo il Censis – perché si accostano sempre di meno alla lettura “ma anche, e specialmente, perché usano Internet per informarsi e per accedere a tutti gli strumenti che per comunicare si avvalgono della scrittura”.
Il totale degli italiani “estranei ai mezzi a stampa”, infatti, è passato dal già considerevole 34% del 2006 addirittura al 46% del 2011. E parallelamente gli italiani che hanno una dieta mediatica completa (audiovisivi, Internet e carta stampata) sono scesi dal 66% di cinque anni fa al 54% di oggi. Prevedibile a breve il sorpasso, data anche l’accelerata diffusione negli ultimi mesi degli e-reader. E i giovani? Incidono in maniera sostanziale nella crescita del fenomeno del Press Divide perché tendono a abbandonare la lettura dei testi a stampa preferendo leggere i testi sugli schermi.
Il Censis, autore (con l’UCSI) della Ricerca dalla quale ho tratto i dati*, individua nel “Press Divide” la causa di una progressiva difficoltà delle nuove generazioni a porre in ordine le loro conoscenze, secondo sequenze ordinate logicamente e gerarchicamente: “Il press divide si sta avviando a limitare fortemente le potenzialità cognitive di un’intera generazione, specie di quanti non hanno alle spalle una famiglia in grado di sostenere adeguatamente la crescita culturale dei propri figli” . Suona vagamente apocalittico. Certamente apodittico, come una (pesantissima) sentenza. Ma è davvero così? Ne riparliamo nella prossima puntata: Diete mediatiche sbilanciate. Nel frattempo sarebbe interessante acquisire i vostri punti di vista.
*Censis-Ucsi, Nono Rapporto sulla Comunicazione “I media personali nell’era digitale”. Franco Angeli, 2011