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In Italia se n’è parlato poco, ma in queste settimane Apple è stata protagonista di un #EpicFail in relazione a iBooks Author (IBA), il software per la creazione di ebook presentato a gennaio.

Il problema, in questo caso, non riguardava né le funzionalità del programma (che peraltro sembrano ottime) né la strategia di comunicazione, ma la licenza d’uso con cui il software veniva distribuito (c.d. “EULA”, End User License Agreement).

Infatti, la versione originaria della licenza prevedeva espressamente che l’utente avrebbe potuto liberamente disporre delle opere (e cioè dei file) creati con IBA solo nel caso in cui avesse deciso di distribuirle gratuitamente.
Al contrario, nell’ipotesi in cui avesse deciso di venderla, l’utente avrebbe potuto distribuirla solo tramite lo store di Apple (iBookstore) che, in ogni caso, si riservava il diritto di non pubblicarlo.

Naturalmente, queste disposizioni non sono passate inosservate e, grazie alle polemiche che ne sono seguite, Apple è stata costretta – a distanza di poche settimane – a modificare la licenza.
Il nuovo EULA, adesso, prevede testualmente:

Distribuzione delle opere generate mediante il software iBooks Author.
Come condizione della presenta Licenza e nel rispetto dei relativi Termini e condizioni, le opere generate mediante iBooks Author possono essere distribuite secondo quando segue: (i) se l’opera viene fornita gratuitamente (senza alcun costo), potete distribuirla mediante qualsiasi mezzo disponibile;
(ii) se l’opera prevede una tariffa (comprese le opere che sono parte di qualsiasi prodotto o servizio fornito per abbonamento) e include documenti in formato .ibooks, generato mediante iBooks Author, l’opera può essere distribuita solamente mediante Apple e tale distribuzione sarà soggetta a un contratto scritto separatamente stipulato con Apple (o con le società affiliate o controllate di Apple). Tale restrizione non si applicherà al contenuto dell’opera, se distribuita in modo tale da non includere documenti in formato .ibooks generato mediante iBooks Author. Manterrete tutti i diritti sul contenuto delle Vostre opere e potrete distribuire tale contenuto attraverso qualsiasi mezzo, qualora l’opera non includa documenti in formato .ibooks generato mediante iBooks Author.

Dalla lettura di tale clausola, appare evidente come l’oggetto dell’esclusiva di Apple sia stato circoscritto ai soli file in formato .ibooks.

Tutti contenti adesso? Pare di sì.
A leggere i tanti commenti in rete, i più credono che l’episodio possa essere rapidamente archiviato. “Non è il primo #fail  in una licenza”, “Apple, si sa, è sinonimo di chiusura”,  “Sarà stato qualche avvocato troppo zelante, presto smentito da Apple”, “E comunque, basta utilizzare altri software per creare ebook”.

Al contrario, credo che proprio adesso sia il momento di riflettere sull’impatto che licenze simili possono avere sui diritti degli utenti.
Da avvocato, ho letto e scritto decine di licenze e penso sia importante discutere di quanto accaduto per iBooks Author. Francamente, mi sembra improbabile che Apple abbia improvvisato il contenuto della licenza di un software così importante, presentato in un evento organizzato da settimane.

Di solito, licenze e termini di servizio riflettono la specifica volontà della software house  o del fornitore del servizio.
Così è stato, ad esempio, per le ripetute modifiche alla privacy policy di Facebook che tanto hanno fatto discutere e per le quali – talvolta – abbiamo assistito a parziali marce indietro: non è un mistero, infatti, che Zuckerberg pensi che sia ormai finita l’era della privacy.

La stessa cosa, mi sembra sia accaduta con la licenza di iBooks Author.  A prescindere da ogni altra considerazione sulla legittimità e sull’applicabilità della clausola modificata, il precedente che si tentava di introdurre è rilevante sotto due profili:

a) una licenza che non disciplina solo l’uso del software cui si riferisce, ma    anche l’uso che l’utente può fare dei files creati attraverso quel programma;

b) il software viene ceduto gratuitamente solo all’inizio: se l’utente lo usa per scopi lucrativi, è praticamente costretto a cedere alla software house una parte dei ricavi derivanti dalla distribuzione dell’opera.

A questo punto, i dubbi sono leciti: davvero una società come Apple è stata “vittima” di un avvocato troppo zelante? Oppure la casa di Cupertino ha tentato di aprire una nuova frontiera nel campo delle licenze del software?

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