Il web unisce, assimila e si immedesima in un ruolo che non prevede più contesti nazionali. Le fenomenologie sociali legate a doppio filo con il progresso tecnologico hanno una matrice comune che comparate a usi e costumi di Paesi diversi, in un qualche modo si riconducono a comportamenti sostanzialmente similari.
Il tema principale oggi, da Amburgo a Monaco di Baviera, da Duesseldorf a Berlino è il social networking. Se ne parla, se ne discute, se ne intuiscono potenzialità e sviluppi ma l’approccio è molto simile a quello dell’Italia nostrana: diffidenza e incapacità di relazione.
La maggior parte delle imprese tedesche ha lo stesso approccio con il mondo “social” di quello del Bel Paese. Per certi versi si potrebbe addirittura dire che l’apprensione che porta la discussione di questo argomento, favorisce ancor di più il sospetto e la distanza. La cosa poi affatto sorprendente è che si commettono pure gli stessi errori.
E’ sicuramente un passaggio epocale, quello che dovremo digerire, che porta le imprese a dover scommettere sulla propria capacità di diventare produttori di contenuti. E’ così epocale questo passaggio, che persino nella più organizzata e disciplinata Germania il passaggio non è così sicuro che possa avvenire in modo indolore. Pensare di passare dalla comunicazione alla conversazione, mettere in cantina le brochures e lavorare sulle relazioni, ritagliarsi un piccolo angolo mediatico e di pubblico “conversante” non rientra nelle corde di un popolo non abituato a pensare in termini individualistici. Perchè sì, che piaccia o no, il social networking riscrive le metodologie della comunicazione dando centralità alla singola persona e non più alla massa.
Le agenzie di comunicazione, soprattutto quelle che si sono “fuse” nel web, hanno le stesse difficoltà a far capire questo fenomeno come lo hanno quelle italiane con le imprese italiane. E’ difficile far comprendere quanto sia importante non solo esserci, sui social networks, ma starci! Difficile far comprendere che i “mi piace” devono corrispondere ad una effettiva presenza relazionale che riesca a produrre conversazione e di conseguenza contenuti.
Il tedesco imprenditore, per sua natura intellettuale e culturale è un imprenditore che fa, che produce ma anche lui si dimentica di sé, della sua essenza e del principio reale della sua stessa esistenza. Mi rendo conto di toccare un argomento molto delicato e complesso ma anche il popolo teutonico che oggi vive un momento di splendore economico dovrà prima o poi trovare le giuste armoniche comunicative per competere in questo mondo in veloce cambiamento. Chi altri se non i tedeschi ragionano per processi produttivi piuttosto che per identificazione del brand ? A parte qualche azienda illuminata capace di ritagliarsi un ruolo nuovo, il resto del mondo imprenditoriale teuronico arranca col fiatone.
Il nodo della questione è che il social networking non è solo Facebook o Twitter ma è davvero un modo diverso di ritagliarsi un ruolo e una identità. Qualcosa in Germania accade però. Esistono imprese che si aprono al basso in modo sorprendente dando un segnale di novità che non sta passando sotto silenzio. Alcune aziende iniziano a distribuire gli utili, tutti, ai propri dipendenti rendendo questi più attivi e consapevoli, anche nella produzione della ricchezza, del proprio ruolo nell’impresa favorendo relazioni e processi comunicativi che arrivano sul web con effetti interessanti e assolutamente virali. In non intaccato rapporto fiduciario tra enti, istituzioni e imprese e cittadini, che in Italia invece è distrutto, porta alla sperimentazione di nuovi modi di socializzare, anche per fini di lucro, che prima o poi, nonostante la diffidenza del tedesco medio, avranno una risonanza mediatica che non potrà più essere sottovalutata.
C’è però un vantaggio competitivo che accompagna lo sviluppo economico tedesco rispetto a quello italiano: l’imprenditore tedesco tende ad essere sempre più giovane. Ergo, l’imprenditore tedesco, anche nativo digitale ha una capacità comunicativa e relazionale molto più simile alle dinamiche della fenomenologia del social networking, ne capisce di più gli effetti e ne intuisce le potenzialità. Quello che manca è l’anello di congiunzione tra l’intuizione e la consapevolezza, tra l’impresa e la territorialità intesa come Heritage, quell’insieme di eredità cultural-sociale espressione di un territorio e di un popolo, che può dare significanza profonda alla capacità relazionale. Se il “vecchio marketing” kotleriano tende ad uniformare e appiattire le azioni comunicazionali pur cercando di dar forza ad ogni singola promessa di valore, il nuovo marketing basato sulla capacità relazionale troverà slancio proprio nella diversificazione e nella ricerca in essa delle proprie singolarità. Le aziende “giovani” questo lo capiscono.
Dirk Baeker dell’Università “Zeppelin” di Friederichshaven am Bodensee, spiega come l’uomo stia per essere riformattato. In Germania la discussione su questi argomenti è apertissima. Ho la netta sensazione che a furia di discuterne, il mondo delle imprese, soprattutto quello delle imprese più “giovani” troverà la la chiave giusta per ritagliarsi un ruolo molto più “social”. Non è un segreto che proprio in Germania stanno nascendo i cloni di Facebook & Co. Se questo diventerà anche crescita economica in termini di PIL è ancora da vedere ma qualche segnale interessante comincia ad arrivare.