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Prendete una grande azienda di servizi, praticamente in regime di monopolio, e con una reputazione decisamente negativa.

Aggiungete un chilo di necessità di comunicare una nuova immagine dell’azienda, tre etti di volontà di aprirsi ai propri clienti, un pizzico di “innovazione” e un po’ di spirito di kamikaze.

Mescolate, adagiate il composto su Twitter e poi guarnite il tutto con un plotone di persone inferocite et voilà: non è la ricetta di una torta, ma quella di una bomba pronta a scoppiare.

Gli ingredienti di questa ricetta: Trenitalia, un gruppo di influencer italiani e una mandria di viaggiatori incavolati neri.

Da qualche mese a questa parte Trenitalia si è lanciata in una grande opera di rinnovamento della propria immagine: sito nuovo (Ehi, si può pagare con PayPal! Nel 2012!), nuove classi sul Frecciarossa (con tanto di accuse di razzismo per aver messo una famiglia di immigrati in quarta classe), potenziamento dei servizi (tranne quando nevica).

Però, però… cosa manca? Ecco, manca un po’ di interazione con i nostri clienti! – devono aver pensato dalle parti di Piazza della Croce Rossa – invitiamo un po’ di blogger, gente importante, personalità del Web con schiere di follower: raccontiamogli come funziona Trenitalia e chiediamo loro di parlarne su Twitter, tutta pubblicità!

Detto fatto. Si invitano le star del Web italiano, si prepara tutto per benino e si lancia pure un hashtag: #meetFS. Chi ha il lanternino per le figuracce si ricorderà che anche McDonald’s ha fatto una cosa del genere, non più tardi di sei mesi fa. E non è stato esattamente un successone. Ma il social media manager di Trenitalia forse non lo sapeva, oppure non è per niente superstizioso.

Il 20 giugno, quindi, tutti gli invitati all’evento si ritrovano a Milano, ricevono una cartella stampa e il permesso di fotografare/filmare/twittare tutto. Si lancia #meetFS e comincia l’avventura.

Chi ha un minimo di esperienza con i pendolari di Trenitalia sa che sono come la lava che scorre sotto la crosta terrestre: appena trovano una crepa, eruttano. E #meetFS non era una crepa, ma un portone spalancato su anni di ritardi, soppressioni, carrozze piene all’inverosimile e un servizio cronicamente inaffidabile che porta gli utenti a sfogarsi sul Web. Ne è un esempio il sempreverde hashtag #trenitaliamerda.

E così, per ogni tweet entusiasta pubblicato dagli influencer alle prese con la cabina di pilotaggio del Frecciarossa, ne fiorivano dieci pieni di rancore. Ecco qualche esempio:

E non soltanto su Twitter. Al grido di “Sfogatevi”, la colata lavica di insulti è arrivata anche su Facebook:

L’epicfail di #meetFS è stato così clamoroso che ne hanno parlato praticamente tutti. Già a poche ore dal fatto, sul Web sono comparsi post, riflessioni, analisi, articoli ed esilaranti ricostruzioni del “mercoledì nero” di Trenitalia.  Su una cosa concordano tutti: era prevedibile che sarebbe finita così.

Nella sua bellissima analisi, #meetFS: le PR non bastano, anzi a volte fan peggio, Alessandra Farabegoli scrive:

Se il tuo prodotto/servizio fa pena, investire in PR (più o meno digital) fa solo incazzare i clienti #MeetFS

Questa frase, insieme alle altre centinaia di tweet dei clienti incazzati, spiega la questione meglio di tanti trattati di marketing e di customer satisfaction. Continua ancora la Farabegoli:

Ai clienti non gliene può fregar di meno di come tu fai le cose: gli importa solo del risultato, e del rapporto fra cosa ottengono, quel che si aspettavano e quanto l’hanno pagato. […]Ma se il tuo prodotto o servizio fa schifo, non c’è storytelling o “porte aperte” che tenga, per tenerteli o farli tornare dovrai migliorare la sostanza.

Il caso di #meetFS non ha fatto altro che incanalare opinioni negative – tra l’altro già consolidate nel tempo – in un unico flusso di commenti: in pratica Trenitalia ha offerto ai propri clienti la possibilità di sparlare dell’azienda, e ci ha addirittura puntato tanto di riflettori.

Quello a cui i social media manager di Trenitalia avrebbero dovuto pensare non era tanto come strutturare l’evento e chiamare l’hashtag, ma piuttosto riflettere sulla reputazione della propria azienda.  E nel caso di Trenitalia non serviva chissà quale sofisticata indagine di mercato.

Il punto è: azienda, se sai di avere una cattiva reputazione non fare la splendida più del necessario e non imbarcarti in imprese che ti si potrebbero ritorcere contro come un boomerang. A torto o a ragione, la reputazione negativa di Trenitalia ha assunto tratti quasi leggendari e, di sicuro, anche i vertici dell’azienda ne erano al corrente. Scegliere Twitter e coinvolgere gli utenti sarebbe stata una mossa rischiosa anche per Madre Teresa di Calcutta, perché la vastità di Twitter – e dei social media in generale – è tale da permettere anche a un illustre sconosciuto di spuntare dal nulla e tirare fuori gli scheletri dall’armadio. Nel caso di #meetFS, da tirare fuori dall’armadio ormai c’era ben poco.

Seconda cosa: azienda, conosci te stessa ma anche quello che fanno gli altri.  Impara dai successi altrui, ma soprattutto dagli errori degli altri. A gennaio, il caso di #MeetTheFarmers/ #McDStories era finito perfino sulla stampa nazionale: Trenitalia ha seguito la stessa strategia manco avesse usato la carta carbone. Con un precedente illustre come questo, forse ci si sarebbe potuto pensare prima.

Infine: azienda, se proprio non puoi fare a meno di comunicare, accertati almeno di aver scelto gli interlocutori giusti. Siamo sicuri che chi ha molto seguito sul Web, ha migliaia di follower ed è un guru dell’Internet sia sempre la persona adatta per ogni occasione? Forse, Trenitalia avrebbe potuto sacrificare un po’ di lustro e qualche retweet e invitare insieme agli influencer anche qualche “cliente affezionato”, qualcuno che su quei treni ci passa un quarto della propria giornata e che è stato, in definitiva, il vero motore del fallimento di #meetFS.
Se l’azienda avesse colto l’occasione per prendersi un po’ più cura dei propri clienti, dimostrare una reale propensione all’ascolto e ammettere le proprie criticità, forse #meetFS sarebbe andato leggermente meglio.
Invitare degli influencer, che per quel che ne sapevamo noi avrebbero potuto essere semplici viaggiatori occasionali, ha accentuato soltanto la percezione che per Trenitalia ci siano opinioni di Serie A e di Serie B da clienti di Serie A e di Serie B. E la cosa, insieme a tutto il resto, ha dato il via libera al turpiloquio creativo.

E questa scelta infelice si è ritorta non solo sull’azienda, ma anche sugli stessi influencer, che in più di un’occasione hanno dovuto gestire qualche insinuazione un po’ pungente:

Lesson Learned: Quando si decide di interagire apertamente con i propri clienti/utenti, cercate sempre di capire in anticipo cosa pensano realmente di voi e pianificate la comunicazione di conseguenza. Pensare di ricevere apprezzamenti quando si è al corrente della propria cattiva reputazione è una sfida persa in partenza. E se volete comunicare un messaggio forte, assicuratevi di farlo nel modo corretto e, soprattutto, di comunicarlo alle persone giuste.

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