Ieri ho ricevuto, come molti immagino, una mail da TripAdvisor in cui si annuncia con grande enfasi il raggiungimento dei 75 milioni di recensioni. Un bel traguardo e una comunicazione facile da veicolare.
Ma la mia sensazione, e non da ora, è che si stiano perseguendo obiettivi più quantitativi che qualitativi. Per chi avesse voglia di altri numeri è possibile consultare l’intera infografica creata proprio per la celebrazione.
Il payoff di TripAdvisor sul sito italiano recita “Il portale di viaggi più grande del mondo” in linea con molte traduzioni di altre versioni straniere. Ma ho notato alcune cose curiose:
- la versione USA e UK del sito sono senza payoff, mentre altre versioni in lingua inglese (per esempio Australia o Canada) riappare: un caso?
- curiosamente nell’immagine mandata attraverso la newsletter di ieri, appare la dicitura la community di viaggi migliore del mondo. Credo che ‘migliore’ sia cosa assai diversa da ‘più grande’. Il primo è un giudizio di merito, il secondo è un’attestazione numerica. E poi “migliore” per chi? Chi ha decretato questa classifica? Per deformazione professionale – da docente e blogger – la fonte di un dato mi interessa molto. Se TripAdvisor o altri mi segnalassero lo studio sarei felice di studiarlo e pubblicarlo.
- sulla home del sito italiano appare la dicitura scarica gratis la migliore applicazione di viaggio mentre su quella statunitense, irlandese o brasilana appare la dicitura “Get the #1 travel app FREE”. Anche in questo caso le parole hanno significati diversi.
Su Facebook, leggendo la mia timeline, percepisco in aumento le lamentele di molti albergatori, solitamente aperti e innovatori, per la pubblicazione di recensioni quantomeno “strane” (non per contenuto ma per cronologia: le date sono estremamente ravvicinate) che, a loro dire, un tempo non sarebbero passate attraverso il filtro interno dell’azienda.
Mi sto chiedendo se questa politica aggressiva possa pagare nel tempo e se sia in qualche modo collegata ai dati recenti non positivi che provengono dai mercati finanziari.
Provo, a titolo personale, una certa insofferenza per quella che viene definita la moda dei supereroi del web o – più in generale – l’adozione di metriche dei vecchi media nei new media. Il caso, vero o presunto, dei falsi follower di politici italiani, dimostra l’attualità della questione. Insofferenza ma anche perplessità professionale. Ritengo, infatti, che queste strategie non saranno efficaci. Forse nel breve, in una fase di transizione come quella attuale, possono dare dei risultati. Ma chi di brand reputation ferisce di brand reputation perisce. Almeno se non porrà rimedi.