In questi giornate convulse si è ulteriormente rafforzato un dibattito che in realtà si sviluppa da parecchi mesi, anche se con toni ed accenti diversi. La questione di fondo può essere riassunta dalla seguente domanda: la rete e i social network cambiano i meccanismi di costruzione del consenso e la politica stessa? In altri termini, è la rete un nuovo modo di aggregare idee e persone, alternativo non solo ai partiti, ma anche ai processi democratici così come sono stati concepiti e utilizzati nel corso di questi decenni (e forse secoli)? La rete è un sostanziale sostituto della politica (classica)?
Il tema è ovviamente estremamente complesso in quanto è caratterizzato da un intreccio di questioni tecnologiche, sociali e culturali. Inoltre, è ancora troppo presto per poter delineare con chiarezza tratti e linee interpretative ben definite e riconoscibili. Certamente, si assiste, come troppo spesso accade nel nostro paese, al solito dibattito un po’ superficiale e saturo di stereotipi tra posizione contrapposte ed estreme, in un senso o nell’altro. Per alcuni, la rete segna la fine della politica tradizionale; per altri, si tratterebbe solo di una moda del momento, di un fenomeno puramente epidermico e limitato ad alcuni settori della nostra società e, di conseguenza sostanzialmente ininfluente. Come spesso accade, la verità sta nel mezzo ed è opportuno riflettere sia sui miti da sfatare che sulle opportunità e sfide da cogliere e valorizzare.
Miti da sfatare
Social network: causa o fattore abilitante?
Quando scoppiò la primavera araba, i giornali occidentali si riempirono di commenti e arguti ragionamenti sul fatto che quella rivoluzione fosse stata sostanzialmente “causata” o “indotta” dall’utilizzo dei social network. Anche nel caso del Movimento 5 Stelle (M5S), spesso si sente dire che è “nato grazie alla rete”. In realtà, se si andassero a leggere le tante analisi fatte sui movimenti che si sono sviluppati in questi anni nei paesi arabi, si noterebbe che storici e studiosi sono sostanzialmente concordi nel ritenere che quanto è accaduto sia stato il risultato di profonde trasformazioni e dinamiche sociali sviluppate nel corso di decenni. I social network e Internet sono stati fattori abilitanti che hanno impresso una accelerazione a processi che in realtà nascono da lontano, con radici e motivazioni profonde e molto articolate.
Lo stesso movimento di Beppe Grillo non nasce “perché c’è la rete”, ma in quanto in questi anni si è sviluppato un profondo e grave malessere di larghi settori della nostra società verso le istituzioni e la “politica” così come è stata per troppo tempo interpretata e vissuta. Il M5S nasce come risposta a questo malessere e a questa mancanza di “buona politica”: non per niente, i sondaggi hanno visto in autunno un indebolimento del M5S proprio in concomitanza con le primarie del Partito Democratico e con alcuni segnali di cambiamento anche negli altri partiti. Non entro nel merito del dibattito se il M5S costituisca “politica” o “antipolitica”: mi preme in questa sede solo sottolineare il fatto che il M5S ha radice profonde che non possono essere semplicisticamente ricondotte alla presenza e all’utilizzo dei social network. Essi hanno, come nel caso della primavera araba, accelerato e sostenuto la diffusione di certi fenomeni, ne hanno per certi versi esasperato contorni e dinamiche, ma di certo non li hanno “causati” né “motivati”.
Il popolo della rete non esiste
Troppe volte sui giornali e nei media si legge l’espressione “popolo della rete”, intesa come l’espressione sostanzialmente unanime e ben definita di coloro che utilizzano la rete e rappresenterebbero per questo motivo la parte moderna e evoluta del paese. Va detto con grande chiarezza che non esiste il popolo della rete: esiste il “popolo in rete”, persone – diverse – che usano la rete come strumento di comunicazione e luogo di incontro, confronto, dibattito. Sulla rete troviamo persone di tutti i “colori” politici e strati sociali, una molteplicità di idee e posizioni, che non possono essere ricondotte ad una visione univoca e caratterizzante. La rete è uno spaccato (probabilmente parziale e non completo) del paese, con tutti i suoi vizi e le sue virtù, le sue semplificazioni e le sue debolezze, le sue diversità e contraddizioni. Identificare “la rete” come un soggetto caratterizzato da una opinione e una posizione univoca è un errore di valutazione piuttosto grave e pericoloso.
Twitter è (per ora) un fenomeno sostanzialmente di elitè
Negli ultimi mesi si parla moltissimo di Twitter e di come stia cambiando i meccanismi della comunicazione e, nello specifico, della comunicazione politica. Politici, giornalisti, opinion makers, commentatori vari sono ormai “presenti” su Twitter e non mancano episodi tra il patetico e il divertente nei quali si confrontano e valutano l’attendibilità e il successo di questo o quel personaggio sulla base del numero di follower.
In realtà, Twitter è il luogo di discussione di una parte – per ora minoritaria – del paese. Statistiche e analisi come quelle di Vincenzo Cosenza, Stefano Epifani e di miei colleghi del Politecnico di Milano mostrano una situazione più articolata e complessa:
Il social network più utilizzato è Facebook, specialmente tra i giovani.
In generale, i social network sono luogo sì di discussione, ma soprattutto strumenti per lanciare o riprendere messaggi e questioni che nascono o si sviluppano su altri media (la TV in primo luogo), anche quando si è presenza di una “calcolata assenza” dalla TV (come nel caso di Beppe Grillo).
Come evidenziato in uno degli articoli che citavo in precedenza, il partito e il leader più presenti in termini di menzioni su Twitter sono il PD e Bersani. Al contrario, Berlusconi e Grillo hanno utilizzato molto più diffusamente Facebook.
Le discussioni sui social network non sono superficiali
In modo specularmente frettoloso, molti commentatori sostengono che le conversazioni sui social network siano superficiali e “povere” di contenuti, elaborazione e ragionamento. Certamente, come nel caso di qualunque strumento di comunicazione, un uso distorto porta a conversazioni banali, semplicistiche o controproducenti. Ma non è sempre così, anzi. Molto dipende dal clima che i partecipanti e i “leader” della discussione riescono ad imprimere e a garantire. Inoltre, persino i 140 caratteri di Twitter, se da un lato sono un vincolo e un limite forte che possono portare ad un eccesso di sintesi, da un altro punto di vista aiutano a eliminare il superfluo, a far emergere e selezionare i contenuti di maggiore valore, a interagire in modo semplice ed immediato con una interlocuzione che altrimenti sarebbe sostanzialmente impossibile. In altre parole, se indubbiamente esiste il rischio di una banalizzazione e di un impoverimento del dibattito, allo stesso tempo non si può tacere o sottovalutare il ruolo positivo, costruttivo e inclusivo che può essere offerto da un utilizzo maturo e consapevole dei social network.
Opportunità e sfide
Non ci può essere politica senza social network
Se è vero che non sono i social network a creare i movimenti o a determinare i sentieri della politica, è altrettanto vero che non è possibile oggi fare politica “fuori” o “indipendentemente” dai social network e dalla rete. Bisogna esserci e bisogna esserci in modo consapevole e maturo. I social network non sono né una moda passeggera, né un puro strumento propagandistico o di comunicazione unidirezionale classica. Sono uno straordinario strumento di ascolto e dibattito che deve combinarsi con gli altri canali di comunicazione in modo sinergico e complementare. Può accadere, per esempio, che quanto nasce come trama di discussione su Facebook possa trovare un momento di elaborazione e di proposta su un blog o su una rivista online, dove maggiore è lo spazio per il ragionamento e la proposta. In ogni caso, i social network sono ormai un elemento imprescindibile e centrale di una moderna strategia multicanale di interazione politica e di costruzione del consenso.
I social network sono acceleratori e abilitatori di fenomeni
I social network sono uno straordinario strumento e luogo che abilita, accelera e rende sempre più diffusi e pervasivi i processi di creazione, condivisione e confronto di idee, opinioni, sentimenti. In altri termini, contribuiscono in modo decisivo all’accelerazione dei tempi della politica e rispondono al bisogno sempre crescente di interazione diretta e immediata tra le diverse componenti della nostra società. In questo senso, sono una sfida e una opportunità.
I social network permettono e richiedono lo sviluppo di nuovi linguaggi
Non è possibile utilizzare i social network come un canale di comunicazione unidirezionale classico. Twitter e Facebook sono luogo di incontro di persone e non possono ridursi a mero strumento di diffusione di spot o slogan propagandistici. Da questo punto di vista, è necessario sviluppare nuovi linguaggi nel senso più vero e completo del termine: una nuova modalità di essere e comunicare, che faccia emergere le persone e le idee, la loro autenticità e credibilità, la capacità di ascolto e di interazione, la voglia di confrontarsi e di mettersi in discussione. Non è pensabile immaginare i social network alla stregua dei comunicati stampa, dei lanci di agenzia o, peggio degli spot radiofonici e televisivi. La natura stessa del mezzo mette subito a nudo i limiti di questi tentativi e li rende sterili e controproducenti. I social network richiedono necessariamente sincerità, apertura e genuinità.
I social network richiedono una nuova ecologia della comunicazione
Spesso ci si lamenta del fatto che i social network divengano luogo di insulto o di calunnia o, comunque, di una comunicazione degradata e sterile. Per questo, si invocano regole rigide e “dure” che combattano e contrastino eccessi e violazioni del confronto civile. In realtà, molte leggi e norme sono già presenti. Potranno anche essere riviste e/o estese. Ma il vero tema che deve essere posto al centro del dibattito è la costruzione di un ecosistema e di uno stile di presenza sui social network che inducano e promuovano un modo maturo di dialogare e partecipare. Prima ancora delle regole o del dettato di legge, è lo stile di chi gestisce un blog o risponde (o non risponde) ad un commento o ad un tweet che induce comportamenti più o meno maturi e rispettosi. Si possono al limite controllare gli eccessi, ma non si può imporre in modo dirigistico la virtù. I social network devono quindi svilupparsi secondo una ecologia della comunicazione dove i diversi attori contribuiscono in modo attivo al consolidarsi di rapporti maturi e costruttivi. È un’altra sfida straordinaria che può certamente contribuire ad un sostanziale cambio di passo nella qualità del nostro stare insieme.
I social network sono una cartina di tornasole della “buona politica”
In realtà, l’uso che si fa dei social network costituisce la cartina di tornasole della “buona politica”. Sono i social network un momento di ascolto, confronto, dialogo, composizione delle posizioni oppure un luogo di comunicazione unidirezionale, propaganda o peggio scontro e contrapposizione sterile? È su questo terreno che si deve confrontare chi vuole fare politica ai tempi di Internet.
In conclusione, serve “buona politica”
Nella società italiana, i social network sono una grande occasione di crescita culturale, sociale e politica che non può essere svilita o ignorata. Tante sono le sono le sfide, ma tante sono anche le opportunità, che non possono essere né sottovalutate né mitizzate.
Tuttavia, i social network non eliminano il problema di fondo che il nostro paese sta vivendo: serve buona politica, capace di ascoltare i bisogni e le richieste dei cittadini, interpretare e mediare le diverse istanze, garantire trasparenza e fiducia, operare con efficacia per rispondere alle attese e alle aspettative della società tutta. Immaginare che le dinamiche in atto nel nostro paese siano “semplicemente” riconducibili all’uso (o non uso) dei social network sarebbe l’ennesima sottovalutazione di problemi complessi e profondi che non hanno bisogno di un placebo o di medicinali sintomatici, ma di interventi decisi e credibili che vadano alla radice dei problemi: è l’ora della politica, della buona politica, nel senso più pieno e vero del termine.