Il sogno di qualsiasi social media manager è dare il la agli utenti e ricevere migliaia di risposte senza sforzo. Un po’ come lanciare un sasso in un lago e osservare compiaciuti il numero delle “onde” che abbiamo prodotto.
Ormai l’hanno capita in molti: per scatenare l’engagement dei fan del proprio brand è fondamentale dare loro qualcosa di divertente da fare. Chiedere cosa ne pensano su un dato argomento? Noioso. Celebrarsi troppo? Sterile. Dare la possibilità di inventarsi una storiella e di pubblicarla su un sito creato ad hoc e super-interattivo, con ovunque il marchio del brand? Questa sì che è una buona idea. Facciamolo.
Così, i signori di Cynar – L’amaro vero ma leggero – si sono rivolti a una grande agenzia di digital PR di Milano per realizzare una super-campgna su misura, in grado di vivacizzare un po’ la conversazione con i propri clienti. Tema: Finale leggero, come il Cynar. In pratica, gli utenti avrebbero dovuto inventarsi un lieto fine per ogni storia “pesante”: ogni storiella – questione di poche righe, non di più – viene pubblicata in una bacheca virtuale in un’apposita sezione del sito di cynar.it.
Per un po’ le cose vanno abbastanza bene, e i “finali leggeri” proposti dagli utenti sono anche simpatici: come quello che “Dopo sei mesi lo stagista viene assunto” o ancora “Greci e troiani fanno pace a cavallo delle feste”.
Fino a qui, dunque, tutto procede per il meglio. Poi succede qualcosa e, ieri, (venerdì 17 maggio, NdA) la campagna viene bruscamente interrotta e la bacheca sparisce dal sito.
Come mai? Ecco qui:
Finché alla fine qualcuno non lo scrive chiaro e tondo:
Cosa è successo? Esattamente la stessa cosa che è successa a Ikea lo scorso novembre. Perché, parafrasando Andreotti, a pensar male degli utenti si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca. E, soprattutto, a dar loro carta bianca spesso ci si ritrova con un mare di guai.
Anche questa volta, dunque, abbiamo assistito a una campagna che si trasforma in un boomerang contro il brand. Tuttavia il caso di Cynar presenta un alcuni elementi particolari su cui vale la pena di riflettere.
Cercando un po’, si trovano diversi comunicati stampa che annunciano l’inizio della campagna (e nei quali si fa anche il nome dell’agenzia di Digital PR milanese che ha curato il progetto). Salta all’occhio una cosa: i post sono datati 27-28 marzo 2013. Cioè quasi due mesi fa. Campagna, sito e “finali leggeri” scritti dagli utenti sarebbero già “in onda” da quasi due mesi. Ma il tutto è stato zitto zitto e buono buono fino a un paio di giorni fa, quando, per i misteri della viralità, tutti hanno cominciato a parlare di cosa stava succedendo sul sito di Cynar e – con tutta probabilità – in molti hanno ben pensato di rincarare la dose di goliardate e bestemmie assortite.
Si può dire che, a un certo punto, la campagna di Cynar è diventata veramente virale, ma non nel modo che potrebbe inorgoglire un social media manager, tanto è vero che nel tardo pomeriggio di ieri, la campagna è stata sospesa e la bacheca sparita. In questo caso, la tanto agognata viralità è stata anche la condanna di questa campagna social, cancellata durante quello che, tecnicamente, si poteva considerare l’apice del suo successo.
Si potrebbe anche obiettare – e a qualcuno il sospetto è venuto – che un simile “effetto turpiloquio” possa essere stato ricercato volontariamente dal brand per far parlare di sé, un po’ come Fiat e i sensori di parcheggio gratis il giorno della Festa della donna. Ma, se così fosse, per Cynar l’obiettivo non è stato comunque centrato e per due motivi. Il primo perché la campagna è stata sospesa, la bacheca cancellata e quella parte di sito è scomparsa dal web.
In secondo luogo, se nel caso dei sensori di parcheggio in regalo si cercava di discutere se Fiat stesse veramente trollando o meno le donne, nel caso si Cynar la “discussione” è andata semplicemente oltre, non risultando minimamente costruttiva per il brand, tanto da essere cancellata anche per via delle bestemmie che sono fioccate sul sito.
Oltretutto, visto che la campagna era attiva già da un paio di mesi, sorge il sospetto che sia Cynar che l’agenzia abbia abbandonata a se stessa, non solo senza applicare una moderazione dei commenti, ma anche “dimenticandosi” di andare a controllare ogni tanto cosa diavolo stesse succedendo sul sito.
Lesson Learned: Una campagna social che promette liberà di parola agli utenti è come un’attrice che deve girare una scena da spettinata: per farle trucco e parrucco ci sono volute ore e ogni cinque minuti qualcuno deve correre a sistemarle i capelli.