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Ogni volta che mettiamo un Like, ogni volta che guardiamo una pagina di un’azienda, ogni volta che citiamo in un post il nome di un prodotto, Facebook e google sono lí a prendere nota, schedarci: teoricamente dovrebbero sapere tutto di noi: i nostri amici, le nostre abitudini, i nostri interessi. Viviamo in un Grande Fratello continuo, senza soste, e in cui siamo continuamente sotto l’occhio di una telecamera che ci controlla. L’impressione è che la rete sappia qualsiasi cosa e ogni piccola scelta sia perfettamente profilata e incasellata per proporci poi pubblicità sempre più coerenti con i nostri interessi. E la nuova frontiera del marketing sembra questa, annunci automatici inviati a liste compilate da algoritmi efficientissimi che pescano i dati dai Social. Immaginate il risparmio: invece di pagare un Social media manager per curare il rapporto con il cliente sui Social, basta acquistare una lista di nomi o comprare una campagna fatta tramite banner sponsorizzati agli utenti.

facebook-like-670x376Poi un giorno apro Facebook, e accanto alla pubblicità che mi ricorda che ho quarantun anni e sarebbe ora di pensare alla pensione integrativa (dato facile da scoprire visto che Facebook ha la mia data di nascita) ne trovo altre due: una che mi invita a comprare libri sulle varie diete dimagranti e un’altra che mi offre dei computer a prezzo ribassato, un’offerta speciale per me, che sono studentessa. E mi metto a ridere, perché non è difficile davvero capire come mai l’algoritmo si sia fatto infinocchiare: nel flusso continuo di tweet che mando durante il giorno, molti parlano del cibo che mangio, perché sono una buona forchetta e per giunta amo cucinare: solo che l’algoritmo ha probabilmente un qualche strano “ordine” per cui associa automaticamente il parlare di cibo ai problemi di linea, perché l’algoritmo non può sapere che in realtà sono uno scricciolo di quaranta chili; e sempre nel flusso di tweet l’algoritmo avrà notato che io cito spesso scuola, libri, compiti e professori, ma ne ha dedotto che sono una studentessa, e non una docente (non so perché, forse l’algoritmo non sa che esistono anche i professori a scuola, oltre agli alunni, o chi lo ha programmato immaginava professori barbogi che non usano Facebook).

Fatto sta che l’algoritmo in questo caso è andato in tilt, ed ha preso due belle cantonate. Il che dimostra che, come al solito, la tecnologia è una bella cosa e la profilatura dei possibili clienti si può fare con mezzi matematici, certo. Ma poi gli algoritmi sono algoritmi, e se vuoi fare una campagna marketing veramente efficace sparare nel mucchio fidandosi solo degli algoritmi può essere una fregatura. Ve lo dice una che non ha bisogno di dimagrire e ha terminato gli studi da un bel po’.

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