
Il commercio elettronico, secondo gli italiani, rappresenta un’opportunità o una minaccia? Le piattaforme d’acquisto oggi a nostra disposizione sono in grado di abilitare modelli economici più sostenibili? E poi ancora, quanto conta la propria opinione rispetto alla sostenibilità quando a rimetterci è il portafogli? A queste domande risponde “Sustainable Commerce and Retail”, la nuova ricerca condotta dalla Fondazione per la Sostenibilità Digitale, presentata martedì nel corso di un webinar dedicato.
Il rapporto mostra uno spaccato interessante sulle opinioni dei cittadini rispetto al rapporto tra sostenibilità, digitale e commercio, evidenziando come queste possano variare – talvolta in modo significativo – in base al contesto urbano nel quale vengono esaminate.
“Quello del Retail è uno dei comparti che dal digitale potrebbe ottenere i maggiori benefici: per questo motivo, esaminare il punto di vista dei cittadini italiani su questi temi è di fondamentale importanza”, ha evidenziato Stefano Epifani, Presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale. “I risultati della ricerca mostrano come, anche nel commercio, si parli di sostenibilità molto di più di quanto non la si metta in pratica, e che quando se ne parla lo si fa spesso in maniera relativa. C’è quindi ancora molta strada da fare, e tutto passa da una grande opera di sensibilizzazione collettiva sui temi della sostenibilità digitale”.
“Le tecnologie digitali rappresentano uno strumento chiave per realizzare il commercio sostenibile, agendo sia sugli operatori economici sia sul consumatore”, ha spiegato Luciano Gaiotti, Direttore Centrale Politiche e Servizi per il Sistema di Confcommercio. “Permettono una gestione più efficiente delle risorse, garantiscono una maggiore trasparenza della filiera, aumentano la consapevolezza dei consumatori e sostengono modelli di consumo più responsabili e duraturi nel tempo”.
Commercio elettronico: opportunità o minaccia?
La ricerca evidenzia, anzitutto, un’importante ambivalenza nelle opinioni degli italiani rispetto alla sostenibilità economica del commercio elettronico. Più nel dettaglio, appaiono contraddittorie le percezioni dei cittadini sugli effetti del commercio elettronico sulle piccole realtà commerciali, che cambiano in base a come la questione gli viene proposta: da una parte, infatti, il 69% degli intervistati è convinto che l’e-commerce sia destinato a distruggere i piccoli negozi; dall’altra, però, se messi di fronte a un ulteriore elemento – la capacità di adattamento delle piccole realtà – quasi la stessa percentuale di cittadini (67%) vede, al contrario, il commercio elettronico come un’opportunità. La contraddizione in questo caso è però soltanto apparente, e riflette le percezioni degli intervistati rispetto l’avvento del digitale: una trasformazione potenzialmente “distruttiva” ma che, se adeguatamente sfruttata, può generare enormi opportunità e vantaggi, soprattutto in questo settore.
“Quando la trasformazione digitale non viene vissuta come un vantaggio è perché non se ne traggono i giusti benefici”, ha commentato Gianluigi Zarantonello, Global Director of Digital Solutions di Valentino. “Molto spesso l’errore è quello di puntare sulle tecnologie del momento, senza considerare che il retail, sia grande che piccolo, è basato sulle persone. In altre parole, una trasformazione digitale di successo nel retail richiede di avere una visione molto precisa di come funzionano le cose: come le persone operano in negozio, quali opportunità si creano, cosa chiedono i clienti. Non deve essere soltanto un inserimento astratto di tecnologia”.
“Oggi i consumatori vengono conosciuti attraverso la tecnologia, e i loro dati sono utili alle aziende per la profilazione e per proporre il prodotto giusto al momento giusto”, ha sottolineato Sergio Schiavone, Esperto del mondo Retail. “L’avvento del retail online ha creato nuove esigenze, come quella di interpretare al meglio i comportamenti dei consumatori: basti pensare alla piccola boutique che, oggi, non può più basarsi soltanto sul contatto diretto e la relazione umana con il cliente. È molto importante per tutte le aziende strutturarsi per questa trasformazione”.
La stessa ambivalenza si riscontra anche nelle opinioni degli italiani rispetto agli effetti del commercio elettronico sull’ambiente: per il 65% degli intervistati rappresenta infatti una minaccia, aumentando il numero di spedizioni e quindi di pacchi in circolazione, ma allo stesso tempo per il 67% degli stessi avrebbe un impatto positivo, evitando gli spostamenti dei cittadini. Quella che emerge in questo caso è una chiara confusione sul tema – indipendente dal contesto di residenza, tra grandi e piccoli centri – probabilmente generata da una scarsa consapevolezza che porta a non avere una chiara opinione rispetto alle implicazioni ambientali dell’e-commerce.
In questa direzione, però, i benefici ambientali della trasformazione digitale del commercio sembrano essere riconosciuti dai cittadini, sebbene con alcune differenze. In particolare, circa tre italiani su quattro (73%) si dichiarano convinti che le app o i siti che consentono di acquistare prodotti usati aiutino a diminuire gli sprechi e favoriscano lo sviluppo dell’economia circolare. Nei grandi centri c’è però una maggiore propensione a vedere queste piattaforme come strumenti positivi – con il 25% degli intervistati che si dichiara molto d’accordo con l’affermazione – rispetto ai piccoli centri (14%), suggerendo forse come la maggiore diffusione e accessibilità della tecnologia tra i contesti più o meno urbanizzati influisca sulle opinioni dei cittadini in questo ambito.
Il costo della sostenibilità tra etica e portafogli
I risultati della ricerca mostrano, poi, un’apparente incoerenza nelle dichiarazioni degli intervistati rispetto all’importanza della sostenibilità ambientale nelle proprie intenzioni d’acquisto. Più nel dettaglio, il 61% degli italiani – con maggiore apertura nei piccoli centri (65%) rispetto ai grandi centri (58%) – si dichiara disposto a spendere di più per l’acquisto di prodotti sostenibili ma, quando la questione viene posta diversamente – “nei miei acquisti do priorità a prodotti sostenibili, ma non voglio spendere di più” – il 67% degli intervistati si dichiara d’accordo con l’affermazione. In altre parole, si evidenzia come per la maggior parte della popolazione il rispetto dei principi di sostenibilità fatichi a tradursi in comportamenti concreti, soprattutto quando questi ultimi implicano il dover affrontare un costo economico superiore.
Stessa situazione si riscontra quando il focus viene posto sulla sostenibilità sociale – relativa alle condizioni dei lavoratori – dei prodotti che vengono acquistati. Dunque, sembra esistere una certa distanza tra la volontà di fare scelte etiche e la realtà economica, che blocca i consumatori nella rinuncia ad altri tipi di benefici, come la convenienza economica.
“Nel turismo, così come nel commercio, le tecnologie negli ultimi vent’anni hanno di fatto cambiato le abitudini dei clienti, che oggi sono molto spesso alla ricerca del prezzo inferiore”, ha commentato Gianluigi Tiddia, Università degli Studi di Sassari. “Ecco, ciò che oggi un po’ si è persa è l’attenzione, il riconoscimento del valore aggiunto dell’oggetto della transazione, che può essere un viaggio come un prodotto. E non riconoscendolo, il consumatore va dove conviene di più”.
Gli strumenti del commercio digitale e sostenibile
Quanto agli strumenti più utilizzati dai cittadini, al primo posto ci sono i siti e le applicazioni di commercio elettronico come Amazon, usate con regolarità addirittura da circa un cittadino su due (46%) residente nei grandi centri, a dimostrazione di una maggiore familiarità con le tecnologie e di un’integrazione più profonda nel quotidiano dei consumatori. Diversa la situazione nei piccoli centri, dove queste piattaforme sono sconosciute a poco meno di un italiano su quattro (23%) e usate su base regolare soltanto dal 16% degli utenti. Nel complesso, una discreta diffusione si registra anche per i siti e le app per la compravendita di prodotti usati, usate raramente o con regolarità dal 41% degli intervistati: anche in questo caso, se ad usarle è il 29% dei residenti dei piccoli centri, la percentuale cresce fino al 52% tra gli abitanti delle grandi città.
Pressoché analoghi invece i dati d’uso relativi ai siti e le app che monitorano l’impatto ambientale dei prodotti del supermercato e di quelle che permettono di sapere se un prodotto rispetta l’ambiente e i lavoratori, usate nel complesso rispettivamente dal 16% e 17% della popolazione italiana. Circa un italiano su due, in entrambe le tipologie di contesto, dichiara di non sapere dell’esistenza di questi strumenti, riflettendo, indipendentemente dall’area geografica di riferimento, una sostanziale mancanza di coinvolgimento nel monitoraggio ambientale tramite le tecnologie digitali.
“I piccoli centri sono quelli che potrebbero godere dei maggiori vantaggi nell’utilizzo degli strumenti digitali, perché consentono di avere una finestra sul mondo in grado di sopperire al gap rispetto ai grandi centri, più ricchi di opportunità. Eppure, rispetto a una certa tipologia di strumenti, i dati non mostrano particolari differenze nell’uso tra grandi e piccoli centri”, ha spiegato Luigi Mundula, Università per Stranieri di Perugia. “Questo potrebbe dipendere da due forze contrapposte, che tendono un po’ a equilibrarsi: da una parte coloro che tendono a voler usare questi strumenti per superare certe distanze in termini di opportunità, dall’altra coloro che invece, per loro struttura, tendono a vedere questi strumenti con più diffidenza”.