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Le aziende biotecnologiche italiane resistono alla crisi: nel 2011 il loro numero è aumentato del 2,5%, salendo a 394, mentre il fatturato è cresciuto del 4%, raggiungendo quota 6,8 milioni di euro. La ricetta vincente è la ricerca, che rende queste aziende un vero e proprio motore dell’innovazione nel Paese. Eppure non hanno vita facile perchè il loro valore innovativo non viene riconosciuto nè da adeguate politiche fiscali nè da incentivi. È il quadro che emerge dal rapporto “Biotecnologie in Italia 2012”, redatto dall’Associazione delle aziende biotecnologiche italiane (Assobiotec) e in collaborazione con Ernst&Young.

In generale le aziende biotech sono concentrate soprattutto nel Centro-Nord e per la maggior parte (77%) hanno dimensioni molto piccole: il 47% ha meno di 10 addetti e il 30% meno di 50 addetti. Solo una minoranza, appena l11% ha più di 250 dipendenti.

Innovazione, ricerca e voglia di crescere, da sole non bastano. “Chiediamo di non dover fare la corsa con la palla al piede“, ha detto il presidente dell’Assobiotec, Alessandro Sidoli, aggiungendo chele aziende hanno bisogno di procedure burocratiche più snelle e la possibilità di accedere a finanziamenti che consentano una programmazione a medio termine.

Un primo passo importante in questa direzione, ha proseguito, è che l’Italia riconosca la Piccola Impresa Innovativa (Pii), applicando misure finalizzate a sostenere la competitività delle imprese che investono in ricerca più del 30% del fatturato e con un numero di ricercatori superiore al 30% dei dipendenti.

Valorizzare e premiare ricerca e meriti è la strada per puntare alla crescita anche per il presidente della Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi. “Parleremo solo di recessione se continuiamo a guardare allo spending“, ha detto.

Di fatto il settore biomedico è da sempre quello trainante nel biotech, con il 52% del totale delle imprese di questo tipo attive in Italia, pari a 206 su 394, seguito dalle aziende attive nella genomica e nella proteomica con il 16%, da quelle per l’agricoltura, con l’11% e per l’industria e la chimica, 8%. Il restante 13% è costituito dalle aziende attive in più di un settore.

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