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Non riesco proprio a condividere il grande entusiasmo verso l’Agenda Digitale. Quell’aria di attesa per la pubblicazione di un documento che dovrebbe illustrare come risolleveremo le sorti digitali del Paese e che invece rischia di illustrare come – tra un temporeggiamento e l’altro – planeremo verso il prossimo Governo senza che molto, in realtà, sia fatto. No, non è un problema di competenze.  Non è un problema di capacità di chi ci sta lavorando. Nè tantomeno un problema di buona volontà. È un problema di sistema.

Agenda, lo dice anche Wikipedia (notoriamente fonte attendibile in questo sconclusionato Web 2.0) è il gerundivo neutro plurale di àgere, ossia agire. L’agenda indica quindi le cose da fare. Ma le cose si fanno, fino a prova contraria, in funzione di qualcosa. Si fanno per raggiungere un obiettivo.

Ed è questo il vero problema. All’Agenda Digitale manca il vero obiettivo. Perché l’obiettivo non può essere certo quello di tipo tecnico, operativo, infrastrutturale. L’obiettivo è qualcosa di più alto. Non attiene temi come la banda larga, che non serve metterla in agenda per sapere che va fatta. Attiene la visione del Paese. E la visione del Paese che vogliamo non può che essere il frutto di una scelta politica. Attiene il tipo di società ed modello di vita da costruire per i nostri figli, ed in funzione di ciò i modelli di innovazione e di sviluppo da sposare.

Non si tratta di sognare un Paese dove immaginare la nostra vita. Si tratta di progettare nel presente il Paese dove costruire il nostro futuro.  Ma i progetti senza un programma con delle date e dei budget rimangono sogni. E non possiamo permetterci di limitarci a sognare.  Dobbiamo costruire e progettare l’Italia che vogliamo. E per questo non serve un’Agenda Digitale che ci dice che abbiamo bisogno di cose come la banda larga e l’Open Government. Per saperlo basta buttare gli occhi fuori di casa nostra e guardare cosa fanno gli altri. Serve invece che si costruisca una visione concreta del nostro futuro, per cercare di comprendere come le infrastrutture e le tecnologie possano aiutarci a realizzarla.

E questo perché – infrastrutture di base a parte – gli investimenti in tecnologia vanno orientati in funzione degli obiettivi che, grazie ad essa, vogliamo raggiungere. Non esiste un solo modello di innovazione. Non esiste un solo modo di fare le cose. E quindi non esiste un solo modo con il quale la tecnologia può favorire i processi di innovazione. Verso cosa orientiamo l’innovazione del sistema paese? Qual è il nostro modo di innovare? E come rispondere a tutto ciò senza sapere quali sono i nostri obiettivi di sistema? Scegliere e decidere di supportare le grandi aziende verso lo sviluppo di progetti di tipo industriale non è la stessa cosa di valorizzare lo sviluppo delle PMI per progetti locali. Promuovere l’innovazione in turismo e cultura non equivale a farlo per la meccanica di precisione o la biomedica. Quali sono le nostre reali risorse? Su quali vogliamo costruire? Perché è su quelle che dobbiamo investire in innovazione e tecnologie. Ma per investire in tecnologie, quindi, dobbiamo prima sapere in che contesto e con quali modalità promuovere l’innovazione.

Tutto ciò non può essere frutto di un tavolo tecnico di lavoro. Per quanto qualificato. E decidere il futuro digitale del Paese, oggi, non può essere fatto in maniera disgiunta dal pianificarne la politica di sviluppo economico, sociale ed industriale. Perché non c’è, per il Paese, uno sviluppo analogico ed uno sviluppo digitale. C’è un solo sviluppo, ed il digitale deve supportarlo.

Qual è quindi il Paese che vogliamo? Di questo dovremmo discutere. Del resto non serve discutere. Per il resto serve fare. E in fretta.

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