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La sensazione che provoca la visione delle aziende specializzate in sistemi antivirus, sicurezza e anti-intrusione informatica è piuttosto poco tranquillizzante.
Si potrebbe immaginare di essere nella sala di controllo di una astronave, sia che si sia nei laboratori della Karspersky a Mosca o la centrale di controllo della X-Force oppure ancora davanti al battaglione “d’assalto” della IBM a Kassel e non ci si sente per niente sicuri. Di sicuro un elemento che lega tutti costoro è la sala ovale con tavoli ovali con di fronte un enorme display che mostra la cartina del mondo. Luci intermittenti si accendono per dare l’allarme di qualche sistema infettato o manomesso e i flussi di dati incriminati pronti a contaminare altri sistemi ancora “vergini”.

Non pensiamo che le immagini del film “Game War” siano così distanti dalla realtà anche per chi teoricamente con le guerre termonucleari non ha nulla a che fare ma si occupa solo di sistemi di sicurezza. Esistono invece veri e propri commandos d’azione pronti ad intervenire quando chiamati, a risolvere problemi di cui nemmeno lontanamente, noi normali cittadini sentiamo parlare. Cosa c’è realmente dietro al semplice invio di una mail poco sappiamo, se non praticamente nulla. Eppure c’è moltissima tecnologia e moltissima tensione in gioco.
Esistono veri e propri poliziotti del web che con i codici penali e civili alla mano controllano e vigilano secondo metodologie degne di un Larry Page di big G.

Esistono veri e propri robot di ricerca o crawlers che visitano siti scansionano pagine web e servers, leggono i contenuti dei siti e dei servers, controllano dati che possono essere considerati a rischio. Solo nel centro di controllo della IBM a Kassel, vengono controllati più di 6 milioni di servers al giorno e alla concorrenza, la Symantec i numeri sono quasi gli stessi. Attraverso una tecnica di ricerca che si fonda sui punti di rete, definiti “sensori” si riescono ad ottenere risultati incredibili. Sono ormai più di 15 milioni i sensori attivati ma non sarebbe difficile arrivare comodamente fino a 150 milioni se dovesse essere necessario. Da questi punti di rete inizia  a ricerca dei crawler che ricevono così anche i primi risultati, cioè dati “sensibili” e sospetti che poi vengono analizzati più approfonditamente.

L’analisi dei dati poi entra in una fase complessa di comparazione con campioni e segnature che ha metodologie differenti da operatore  operatore ma che si riconducono comunque a tecniche complesse ma conosciute di analisi comparativa e re-ingegnerizzazione delle fonti.

E’ evidente che il web è un patrimonio enorme e complesso e deve essere tutelato. Sul web ci giochiamo il nostro futuro e la sicurezza diventa un fattore determinante. Però più sicurezza, più nevrosi. In Germania la discussione sulla sicurezza sta diventando un nodo focale o meglio lo è diventato da diversi mesi tanto che proprio in Germania, ormai leader europeo indiscusso per ciò che riguarda la fornitura di sistemi di accesso alla rete, si concentrano laboratori di analisi dei dati e di centri di gestione delle crisi neanche fossimo veramente alla NASA.

Se sul web ci giochiamo la nostra identità, la nostra personale reputazione, le nostre relazioni sociali che siano personali o di business, se sul web viene immagazzinata la memoria storica di ciò che siamo oggi e di ciò che eravamo ieri, diventa assolutamente chiaro come sia importante tutelare la “rete” da malintenzionati, truffatori, delinquenti e “assassini 2.0”.
La tutela poliziesca però non basta e un altro elemento di discussione, forse l’elemento più importante, diventa l’educazione.
Educare al web non è una fandonia post-industriale di qualche pazzo uscito dal mondo web 2.0 o 3.0. Educare al web significa diventare proattivi alla sicurezza, significa porre in essere comportamenti corretti che riducano al massimo il pericolo di contaminazione virale o di hackeraggio dei sistemi informatici.
E’ come se oggi non esistesse un codice della strada e ognuno potesse guidare il suo mezzo di locomozione come meglio crede. Follia pura! Educare al web significa essere consapevoli di ciò che si sta facendo, secondo giudizio e metodo.

Quante volte, io che non sono propriamente un esperto, cerco di spiegare alle aziende come usare la propria casella di posta elettronica. Quanti sono i comportamenti veramente folli e incoscienti che passano sotto i nostri occhi. Eppure le caselle di posta sono le prime a venir tracciate e poi crackate. Guai però a parlare e a fare osservazioni. Vieni tacciato di eccesso di sicurezza perchè il “verbo” che regola il tutto è sempre lo stesso: “Ma a chi frega quello che io scrivo in una mail?”. E mentre ti fanno quella domanda, una decina di film pedopornografici passa in sharing sul server del cliente che ignaro di tutto si trova poi i lucchetti al router e la denuncia delle autorità di PS nella cassetta “non virtuale” delle lettere (cedolino verde).

Ma come fare, anche da noi in Italia a porre la questione sul piano dell’educazione quando chi è preposto ad educare ha una alfabetizzazione “informatica” simile a quello di un puffo paleolitico analfabeta? Tutto dovrebbe cominciare dalle scuole ma da noi ancora siamo a fare la punta ai gessetti e alle fotocopie dei libri di testo da consegnare ai genitori degli alunni previo pagamento in contanti.

Sarà un viaggio lungo e faticoso, temo.

SCRITTO DA Andreas Voigt

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