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È il 19 febbraio. Sto discutendo con un vecchio attivista del PD di quanto, ancora una volta, si stia sottovalutando la comunicazione. Lui serafico, mi ribatte sempre lo stesso concetto: “Vincerà la serietà”. E in quel momento mi arriva l’email “Mobilitazione straordinaria. Un’ultima spinta per vincere” di Bersani. La scorro e passo, sconsolato, l’Ipad al mio interlocutore. Legge, mi guarda e capisce che non è il caso di farmi domande. Lo congedo, rassicurandolo: “Voterò la coalizione di sinistra. Comunque e nonostante”. I due avverbi sono amari e strumentali insieme: stavolta il messaggio gli arriva, non ribatte nulla.

 

Motivante come un herpes la lettera di Bersani. Una prosa d’apparato, del tutto coerente con la tradizionale comunicazione grigia che più volte ho analizzato nel tentativo di offrire un contributo. Non alla causa del partito, ma alla causa del Sistema Paese. Lo stato d’animo è del  lettera Bersanitipo “mi sono cadute le braccia”. Me le riattacco e gli rispondo: “Caro Pierluigi, ti voterò e farò il possibile perché altri ti votino. Nonostante questa tua lettera che è motivante come l’herpes sulle labbra. Avrei preferito leggere l’elenco degli impegni del PD, anziché questa tiritera controproducente dell’antiberlusconismo. E allora ti ricordo i sei principali motivi per i quali ti voto:…“. E li scandisco. Insomma l’ennesimo stimolo a sintetizzare in pochi, incisivi, e immediatamente percepibili punti il programma di governo. Un elenco, senza dissertazioni inutili, indispensabile dal punto di vista comunicativo per un elettorato frastornato da troppe parole. Chiudevo con un “Incrociamo le dita”.

Il giorno dopo, qualcuno dello staff mi risponde ringraziandomi del contributo, e ribadendo “incrociamo le dita”. Tra le righe ci leggo uno scaramantico affidarsi alla sorte benigna, piuttosto che la convinzione di una politica vincente.

Letta impietrisce, Quagliariello resuscita, Piepoli … riconosce che tra exit poll e prime EDIZIONE 2011 DI CRESCERE TRA LE RIGHEproiezioni c’è l’oceano in mezzo. È il primo pomeriggio del 25 febbraio 2013: la Borsa già nella prima mattina aveva mostrato un deciso ottimismo, per impennarsi addirittura dopo i primi exit poll. Un’euforia da grande rialzo. Poi la prima proiezione, e cambia totalmente il clima. Quagliariello del PDL che aveva appena riconosciuto “abbiamo perso le elezioni” si rianima e rivendica “la rimonta”, Enrico Letta deglutisce a vuoto ringoiando i sogni di gloria, Piepoli… si limita ad allargare le braccia, aiutato da una somatica che sembra perennemente divertita dall’imprevedibilità delle cose umane. Ma dice che, da quel momento, gli exit poll sono da buttare. Mi telefona Giovanna. Si è laureata con me, lavora nella comunicazione di prodotto, e ha una passione per la comunicazione politica, viene da una famiglia nella quale si mangia pane e impegno sociale da quattro generazioni. Condividiamo da tempo al telefono e sui Social impressioni e apprensioni: “Prof, è solo la prima proiezione… cambierà vero?!” Penso proprio di no, non cambierà. E glielo dico. Quanto può essere abissale la delusione di una giovane di talento che, dopo un Master all’estero e stimolanti offerte di lavoro, torna nel suo Paese perché vuole contribuire a cambiarlo… Quanto?

La coerenza comunicativa del PD: sbagliare prima, durante e dopo la campagna. Travaglio, che peraltro non amo, ha ragione quando dice che se la sinistra s’impegna a fondo perde anche quando sembrava impossibile. “Perfido e recidivo” vengo definito da alcuni attivisti “di fede”. Sto solo traducendo e sintetizzando, in termini riferibili, le reazioni di quelli che ritengono che ogni lettura critica sia una ferita per la causa della sinistra e che hanno considerato una sorta di tradimento i miei precedenti post su Tech Economy: “Un manifesto per farsi del male” e “ A Renzi mancava un grande insuccesso”. Gli sfugge completamente che la mia critica è desiderio di contribuire a non far ripetere sempre gli stessi errori. Avevo ridisegnato, nel secondo post, le icone della sinistra: la neo guappa (Rosy Bindi), l’eterno sinistro (D’Alema), l’analogico da piazza (Bersani), il mitopoietico (Vendola), l’amerikano (Renzi). Per sottolineare che:

  • i primi due avrebbero dovuto evitare nuovi protagonismi, perché le elezioni politiche sono cose diverse dalle primarie che si giocano in casa e dove l’apparato conta e alla fine l’organizzazione prevale sulla comunicazione
  • l’analogico Bersani avrebbe dovuto usare il canale delle piazze, del contatto diretto, passando dalle metafore ripetitive all’esemplificazione chiarificatrice
  • Vendola è indubbiamente un uomo di governo, ha un linguaggio suggestivo ma alcuni suoi radicalismi verbali, prima ancora che programmatici, spaccano l’elettorato
  • Renzi è quello che interpreta meglio la necessità del cambiamento e di rottura con alcuni anacronismi e ritualismi del passato.

Non parla al paeseQuello che è successo è ormai storia: Bersani troppo spesso ha preferito luoghi chiusi e teatri per incontrare non tutti i possibili pubblici ma prevalentemente “i suoi”, ha interpretato le elezioni politiche come una coda lunga delle primarie. E, incredibile, a Roma ha lasciato piazza S. Giovanni a Grillo per il comizio finale: un errore sconfinato, perché simbolico.

Renzi viene rispolverato in maniera tardiva, D’Alema un istante dopo la diffusione dei risultati ricomincia a rilasciare interviste e sembra quasi commissariare Bersani. La sensazione del “vecchio (apparato) che avanza” e che stenta a capire non solo la lezione del movimento Cinque Stelle (un successo ciclopico, epocale, che usa linguaggi e canali sconosciuti alla politica tradizionale) ma anche la recente lezione di Renzi sull’opportunità di riconoscere subito e in termini inequivocabili, una sconfitta. No, si avvitano in formule contorte per non dire la cosa più ovvia: “Abbiamo perso” rispetto alle attese, alle esigenze del Paese, alle aspettative dell’Europa, alla scommessa dei mercati.

E questa mancanza di trasparenza e chiarezza comunicativa è una carenza “caratteriale” del sistema partitico. Di tutti i partiti.

L’equivoco dei @300spartani. Il web si frequenta, non si presidia militarmente o non si 300spartanigestisce con commissari politici. Comunicativamente è uno scivolone persino l’aka che si rifà, anche nella simbologia a un film culto della destra. Provo a lanciare qualche tweet su problemi e soluzioni da cogliere, ma l’attenzione delle milizie armate è inevitabilmente sulla sfida ideologica e d’appartenenza. Non c’è la finalizzazione all’ascolto, la dialettica vera, la capacità di stabilire una relazione con gli indecisi e quelli che la pensano diversamente. Stanno sui social media come sentinelle di confine, appunto: inutile e, probabilmente, controproducente.

Ma su tutta la politica comunicativa ho sentito a oggi pochissima autocritica, anzi molta sottovalutazione. Bersani che, ospite di Fazio a “Che tempo che fa”, fa spallucce sui “dettagli” della politica comunicativa, mi ricorda troppo gli sprezzanti giudizi della Gelmini sulle scienze della Comunicazione. In compenso è molto praticata l’autoassoluzione: la colpa è sempre di avvenimenti e cause esterne, e comunque degli altri che non capiscono (che siano avversari politici o elettori).

Il Crowd Surfing di Grillo: la metafora del rapporto di fiducia. Ci sono fatti che non si prestano a nessun artificio comunicativo:

  •  tre milioni e mezzo di elettori in meno per il PD, più di sei milioni in meno per il PDL, la Lega che perde una grande quota di elettorato. Altri partiti, o aspiranti tali, spazzati via
  • Il movimento “5 stelle” si presenta sulla scena, all’esordio, come la prima forza politica tra quelle elette

GrilloPatetiche le acrobazie dei vecchi partiti per nascondere questa realtà, appellandosi alla contingenza economica e al prezzo pagato per sostenere il governo tecnico (il PD), nascondendosi dietro la bandiera della “rimonta” (il PDL, che ha quasi dimezzato il suo elettorato!).

E su questi logori espedienti, su questa dialettica da vecchi mestieranti , Grillo li inchioda e li surclassa non solo con la forza di parole semplici e scandite, ma con la comunicazione non verbale e paraverbale: gesticola, corre, salta, si sbraccia, si affanna, suda, si mescola, urla, sussurra, canta, “si dona” al pubblico. Un pubblico che non è stato selezionato in precedenza, che non ha passato alcun controllo, non attivisti o elettori certificati, ma semplicemente: gente. Arriva a tuffarsi dal palco sulle persone, certo che lo sorreggeranno: fidatevi di me, perché io mi fido di voi è l’implicito, fortissimo, messaggio.

“La Rete non sposta mezzo voto”. Ne siete ancora convinti? Grillo ha creato il suo movimento sulla rete, alternando poi Rete e Piazza e rimbalzando continuamente sui media tradizionali, senza mai andare direttamente sul medium TV: la relazione on e off line, i Social Media hanno strumentalizzato in pratica i Mass Media. In occasione delle primarie del Pd, troppo frettolosamente si era affermato che la Rete non sposta voti: ma quello era un contesto diverso, dove gli apparati e l’organizzazione hanno contato più della comunicazione. Farne una regola ha mostrato subito le sue crepe. Senza la Rete, e prima della rete, non si è mai concretizzato un fenomeno, paragonabile per dimensioni, a quello del M5S.

E adesso attendiamo di vedere contenuti e strategie del movimento, sperando sinceramente che i “pentastelluti” ne siano capaci, ora che la pars destruens deve convivere con la pars construens. E la memoria storica ci suggerisce di vigilare, ché di fenomeni nati per innovare e fare pulizia e poi involutisi fino a derive pericolosissime, la Storia e le nostre storie personali ne sono piene.

SCRITTO DA Marco Stancati

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