Giovedì scorso ricevo un’email da uno studente: “Sabato prossimo c’è roba interessante: hanno preso una canzone del suo Gruppo preferito come hashtag, Twitandshout mi sembra, e poi twittano in diretta a Radio2. E andiamo con le contaminazioni dei media…Dico bene, prof. Mi fa un #FF per la tempestività?”
Ringrazio, sottolineo incidentalmente che #Twitandshout è ispirato a “Twist and Shout”, una delle canzoni più famose dei Beatles (“ErGruppoMio”, sic!), e che la doppia FF prima di essere interpretata come Follow Friday identificava proprio loro, i mitici scarafaggi: the Fab(ulous) Four.
E twitto la mia soddisfazione per l’esperimento, che ha come obiettivo dichiarato ” di far divenire il nome del programma un hashtag sinonimo di qualità di pensiero, lucidità di analisi e ferocia di battuta… che scardina la grammatica radiofonica tradizionale …”
L’esperimento va in onda
Alle 19.45 di sabato 7, sono in macchina, direzione Eur per presentare un saggio. Con me ci sono l’autore (siciliano, cinquantino, camilliano, mediamente tecnologico, poco social) e il figlio diciannovenne, romano d’adozione, nativo digitale con device praticamente incorporati e, inevitabilmente, Social Media Addict. Parte la sigla, vivace; sembra promettere buone cose.
Pistolotto iniziale di Alex Braga, ma con ritmo. Poi comincia la lettura dei tweet: la curiosità per le voci scema rapidamente di fronte all’alternarsi di troppe dizioni diverse con prosodie talvolta davvero problematiche. Tweet che, letti a schermo, erano sembrati fulminanti una volta recitati svaporano e s’impastano con la firma digitale (anch’essa declamata dall’autore medesimo).
Anche alcuni dei miei “autori” preferiti, come Microsatira e Tigella, perdono molta incisività nel passaggio dalla lettura all’ascolto e la riacquistano immediatamente se faccio il percorso inverso.
Le reazioni
“Che camurria, miiii… non si capisce! Una macedonia è!” commenta il saggista. Il nativo digitale mostra una predilezione particolare per Johnny Palomba e Natalia Cavalli. Si prepara a interagire e sta mettendo in pole position sull’Ipad i suoi tweet pronti a scattare al semaforo verde dell’interazione diretta.
Ma la puntata finisce all’improvviso, il nativo ci rimane malissimo, recupera i moduli stilistici paterni e sibila: “Miii.. una sveltina preconfezionata! Manco un’interazione sincrona, una, dico una…? ‘Nnamo su …..m’hanno fatto perde’ tempo.” Abbandona Twitter e si dedica a Pinterest.
Nel frattempo siamo arrivati, c’è tempo. Mi collego e riassumo in tre o quattro tweet le mie impressioni: Buona la prima? No #Twitandshout è un esperimento interessante, ma va tarato e parecchio. Si perde la vivacità di Twitter, sembrano giaculatorie laiche, raramente scandite spesso biascicate, che suonano come informazione o come satira avvizzite precocemente per difetto di format funzionale.
Le attese e la percezione
Mi aspettavo un processo di re-mediation, ma dove sta? Mi aspettavo, come da promessa, una rassegna stampa alternativa, una lettura corale che scovasse “perle” anche tra twitteri meno noti, un’interazione sincrona, un pensiero laterale sulla cronaca, il sociale, i nuovi equilibri esistenziali tra analogico e digitale. Insomma mi aspettavo quel senso di smart e di serendipity che si riesce a cogliere quotidianamente in Twitter nonostante il rumore di fondo generato da alcuni centoquarantisti compulsivi.
E non va meglio con le pillole quotidiane (tre minuti intorno a un solo hashtag): la forza dei tweet si conferma affievolita nel passaggio dal letto all’ascoltato, quello che viene enfaticamente definito “il pensiero libero” suona come una sommatoria di battute. Alcune non si capiscono per problemi di dizione, perché ottimi autori non hanno però i tempi radiofonici.
Inoltre, se si porta Twitter in Radio, lo si propone al pubblico di un mass media tradizionale, composto da una maggioranza di nativi analogici. È un grande obiettivo quello di integrare i due mondi, di facilitare il dialogo intergenerazionale contando sulla “…forza del mezzo radiofonico, la possibilità che si ha con la radio di arrivare a tutti, anche a chi per età o interessi è lontano dalle logiche del world wide”, ma richiede una messa a punto di sceneggiatura e regia, perché allo stato l’esperimento non riesce ad avvicinare pubblici diversi.
In sintesi: si sono attinti contenuti da Twitter per fare una trasmissione sperimentale, ma Twitter non si è fatta Radio. E la Radio non ha trasmesso il senso di Twitter. Finora.