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Lo scarso senso della conta dei follower (forse) finti su Twitter

Autore
Giovanni Boccia Artieri

La querelle Camisani Calzolari/Grillo – e molti degli echi che ha prodotto nel web e nella stampa – non ha senso. Però ci insegna qualcosa. Ma cominciamo dall’inizio.

Una “ricerca” – il termine è virgolettato perché sulla scientificità, come Luca Rossi e Roberto Dadda, ho forti perplessità – di Marco Camisani Calzolari mette in luce che il profilo Twitter di Beppe Grillo ha il 54,5% di follower che sarebbero BOT, profili finti, quindi.
O meglio: profili che non sono particolarmente attivi o che non hanno un’immagine/avatar o che non hanno una descrizione di sé. Il che raggruppa sia fake che profili di persone meno esperte che di coloro che sono su twitter (la maggior parte) principalmente per leggere chi scrive e non commentano o re-twittano quasi mai.

A parte il fatto che con Fake followers potete calcolarvi da soli quanti finti profili vi seguono con una metodologia automatizzata quanto quella utilizzata nella ricerca, a parte che gli account spam su Twitter esistono, a parte che – come spiega Gianluca Neri leggendo i dati Business Insider – “considerando i 175 milioni di account dichiarati da Twitter, viene fuori che esistono 56 milioni di account che non seguono nessuno, e altri 90 milioni che non sono seguiti da nessuno”, a parte che vi ho già raccontato come sia possibile e inutile comprare i follower per pochi dollari … l’interesse che la cosa ha suscitato nei media mainstream e in alcuni esperti della Rete è indicativo dei limiti che ha la nostra visione sul web.

L’intera vicenda (al netto delle minacce)  mette a fuoco l’incapacità di osservare la realtà delle relazioni sociali che sviluppiamo online e le forme di influenza correlate senza ricorrere ad un contesto di riferimento altro, che è quello dei media di massa, e alla quantità di “spettatori” che un profilo ha.

I miei falsi follower su Twitter (dati da Fake followers) sono il 2%, quelli di Beppe Grillo il 77% e di Barack Obama il 43%. La nostra capacità di influenza è ben diversa, nonostante il giochino estivo attribuisca loro moltissimi finti follower e “utenti” inattivi.

Eppure la posizione di chi fa informazione è chiara: a proposito dell’intera ricerca sui politici italiani resa disponibile da Camisani Calzolari, il Corriere della Sera scrive:

“Questa volta nel mirino di Calzolari non c’è solo il fondatore del Movimento Cinque Stelle. Ma anche i profili dei più importanti politici italiani. «Passati al setaccio» per capire se siano realmente così seguiti o se ci sia qualche inganno.”

Qualche inganno nei confronti di chi? Il politico vende i suoi status alla pubblicità in base ai follower? Un alto numero di follower garantisce un premio di maggioranza? Tu che incontri nei tuoi flussi un contenuto prodotto da un politico, che so, un retweet fatto da un amico, ti abboni al suo profilo solo se supera la soglia dei 10.000 follower?

Meglio che chiariamo questa cosa se no anche i politici, magari consigliati da consulenti quantitativisti tarati sul modello audience-tv, penseranno che stare in Rete, dentro i social network, assomigli a fare monologhi che vanno in onda per le migliaia dei loro follower.

Perché in Rete, invece, la capacità di influenza riguarda le cerchie sociali che ti costruisci e a cui appartieni, dipende dai tuoi stati di connessione. Ed è evidente che la reputazione online non la si costruisce sull’attribuzione di visibilità numerica di chi ti segue ma sulla capacità di costruire conversazioni, produrre contenuti, curare flussi, ecc. Meglio leggere allora la capacità di influenza di un account Twitter di un politico attraverso altri strumenti più adatti alla natura relazionale della Rete, come la Social Network Analysis (ad esempio il grado di centralità di un nodo – cioè il numero delle relazioni incidenti sul nodo – o la betweenness centrality, ecc.). E poi fare i conti con i contenuti prodotti, mettendo in relazione i dati del network con il senso che questo produce. Perciò: a chi importa del numero dei follower veri o finti che siano se non sappiamo le relazioni che con questi si costruiscono?

L’impressione è invece che, per il pensiero generalista ed i media di massa, il dato quantitativo di chi segue un profilo sia preso come indicatore del fatto che il proprietario di quel profilo sia in qualche modo da ritenersi un “esperto” del suo campo (politico, scienziato, sociologo, giornalista…), tanto che è seguito da molte persone, cioè fa audience. Che passi cioè un’equivalenza fra l’avere molti follower ed essere un gatekeeper. I gatekeeper, come li abbiamo conosciuti nell’ambito della cultura e dell’industria dei mass media, filtrano nei loro campi specifici (da giornalisti, sociologi, politici, scienziati, ecc.) le informazioni e in qualità di esperti le trattano per essere veicolate nei media. Se voglio capire cosa succede al “popolo del web” cercherò loro e il trasparente valore brillerà in quel numero che compare in alto subito sotto la descrizione (se c’è) del profilo. Solo che non c’è relazione tra le due cose. E che i gatekeeper dei media di massa non sono gli influencer del web. Siamo di fronte a logiche completamente diverse e ad una trasformazione radicale delle dinamiche della diffusione delle informazioni attraverso la relazione tra cerchie sociali online e pratiche di connessione dei contenuti (pensiamo agli #hashtag).

Per capire quindi quanto un personaggio politico “conta” online non possiamo farlo solo contandogli i follower. Per metterne in dubbio la moralità non serve indicare quanti profili fake lo seguono come se fossero voti comprati. Dobbiamo fare pulizia culturale del modo di pensare alle dinamiche di relazione in Rete se vogliamo crescere il digitale in modo maturo. Per fare pulizia del falsi profili, che tanto possono capitare a tutti – e più follower hai più puoi attirare spam e fake – basta invece usare qualche tool gratuito. Ecco la politica online può cominciare da qui, facendo pulizia.

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SCRITTO DA Giovanni Boccia Artieri

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