Molte legislazioni, e tra queste anche quella italiana (articolo 110 legge 633/1941), richiedono che la cessione dei diritti d’autore avvenga per iscritto, o quanto meno sia provata per iscritto. Da ciò deriva che tendenzialmente prima della pubblicazione di qualsiasi opera l’autore debba sottoscrivere o un vero e proprio contratto di edizione o di cessione dei diritti, o una semplice liberatoria alla pubblicazione. Ho scritto “tendenzialmente” perché in realtà non sono rari i casi in cui invece la pubblicazione avviene anche solo “sulla fiducia” o sul semplice scambio di email.
Agli occhi (forse un po’ pignoli) di me giurista, il fatto di ricevere per tempo dalla casa editrice o dai curatori della rivista un contratto o liberatoria da restituire firmato è un buon indicatore della serietà del soggetto con cui mi sto interfacciando. Ma so anche che agli occhi di uno scienziato che non ha acquisito quella confidenza minima con questi aspetti di cui parlavamo poco sopra ricevere un contratto o una liberatoria può diventare fonte di stress (perché richiede comunque tempo e attenzione) o addirittura una scocciatura vera e propria.
C’è comunque da dire che, per come sono impostati i meccanismi del diritto d’autore, in realtà la mancanza di un documento scritto è un problema più per la casa editrice che per l’autore, il quale, essendo il titolare originario dei diritti, è sempre in una posizione favorita.
Detto questo, in ottica di “fare Open Access”, è importante che, se l’idea è quella di pubblicare il nostro contributo in Open Access, i documenti firmati non contengano disposizioni che risultino in contrasto con i requisiti dell’Open Access che abbiamo più volte illustrato in queste pagine.
Un simile discorso va fatto per le policy e i termini d’uso delle varie piattaforme web su cui vengono caricati contenuti scientifici. Come è prassi diffusa, l’accettazione di questi documenti avviene più o meno implicitamente, all’atto della registrazione, con una semplice spunta sul form, o tacitamente con il continuo utilizzo della piattaforma.
Questo meccanismo porta come effetto collaterale una minor attenzione sul testo delle policy e dei termini d’uso; come è ormai prassi diffusa sul web, tendenzialmente si accetta tutto senza leggere e si procede con il caricamento dei nostri contenuti.
Anche in questo caso, però, se l’idea è quella di rilasciare i contenuti in Open Access, è fondamentale verificare che in questi documenti non vi siano disposizioni che possano creare un conflitto con i principi dell’Open Access.
Su questo punto è opportuno fare un’ulteriore segnalazione: quasi sempre i termini d’uso di piattaforme online, specie se si tratta di piattaforme di rilevanza internazionale, non fanno riferimento alla legislazione italiana bensì alla legislazione dei loro Paesi di origine. Dunque la situazione si fa ancora più complicata dato che alcuni dei principi cardine del diritto nostrano (su cui peraltro è basato buona parte di questo capitolo) potrebbero non essere più validi; e bisognerebbe invece di volta in volta verificare i principi applicati e le norme richiamate.
Questo e altri consigli sono raccolti sul libro Fare Open Access. La libera diffusione del sapere scientifico nell’era digitale presentato proprio oggi.
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